Mosso da tutta una serie di ragioni e concomitanze (il fallimento del primo progetto dell’invasione della Gran Bretagna, le ambizioni orientalistiche e le fascinazioni alessandrine di Napoleone, la voglia del Direttorio di allontanare il pericoloso generale e altro ancora…) nel 1798 Bonaparte organizza l’ambiziosa campagna di Egitto dopo aver concluso la prima campagna d’Italia (col famoso e famigerato trattato di Campoformio).

L’organizzazione è, logisticamente, alla Napoleone con un’armata di oltre 36000 uomini che comprendono un drappello di scienziati di ogni disciplina, oltre ad artisti, musicisti e scrittori. Oltre 150 tra matematici, fisici, astronomi, architetti, chimici e quant’altro. Sono i “savants“, guidati dal famoso Jean Baptiste Joseph Fourier (si, quello di serie e trasformate), gli scienziati che contribuiranno in maniera massiva allo studio dell’oriente e alla nascita, per esempio, dell’egittologia.
La campagna d’egitto, che contribuirà al fascino di Napoleone, si concluse in maniera abbastanza sconfortante dopo il fallito assedio di Acri (nel 1799).

Tutto questo abbastanza noto, come dicevo, parte essenziale del mito.
Napoleone è uno stratega puro, prima di sbarcare in Egitto comprende l’importanza di Malta e approfittando delle scissioni tra i cavalieri e delle rivolte popolari riesce molto velocemente ad assediare e conquistare l’isola il 12 giugno 1798 per ripartire il 18 alla volta dell’egitto.
Quello che succede in quel breve periodo è raccontato molto velocemente da Andrew Roberts nel suo “Napoleone il Grande” (UTET)
Nei suoi sei giorni a Malta Napoleone espulse tutti gli uomini della cavalleria eccetto 14 e sostituì l’amministrazione medievale dell’isola con un consiglio di governo; smantellò i monasteri; introdusse la pavimentazione e l’illuminazione stradale; liberò tutti i prigionieri politici; installò fontane e riformò gli ospedali, il servizio postale e l’università, che da allora avrebbe insegnato scienze accanto alle materie umanistiche. Mandò Monge e Berthollet a saccheggiare il Tesoro, la zecca, le chiese e gli studi d’arte (ma sfuggirono loro le porte d’argento della chiesa di San Giovanni, che astutamente erano state verniciate di nero). Il 18 giugno scrisse 14 dispacci, in cui parlava dell’assetto militare, navale, amministrativo, giudiziario, fiscale, degli affitti e della polizia dell’isola per il futuro. Con essi aboliva la schiavitù, le livree, il feudalesimo, i titoli nobiliari e i blasoni dell’ordine dei cavalieri. Diede agli ebrei l’autorizzazione, sino a quel momento negata, di edificare una sinagoga, e indicò persino quanto avrebbe dovuto essere pagato ogni professore all’università, ordinando che il bibliotecario tenesse anche lezioni di geografia per i suoi, per 1000 franchi all’anno. «Ora possediamo il posto più fortificato d’Europa», scrisse vantandosi al direttorio, «e sarà dura sloggiarci.»
Per dire, quando si parla di politica…

Lasciò l’isola sotto la direzione del suo alleato politico Michel Regnaud de Saint-Jean d’Angély, che oltre a essere stato direttore del “Journal de Paris” durante la rivoluzione, era stato il preposto marittimo del porto francese di Rochefort.