A Portoferraio il 23 gennaio mi sento solo. Per ragioni comprensibili ma non condivisibili non ci sono turisti nè indigeni per le strade della città vecchia.

Molte trattorie o ristoranti sono sbarrati. Uno espone un cartello: “chiuso per ferie fino al 4 febbraio – auguri a tutti”. Poi trovo un posto aperto, le persone sono cordiali il pasto dignitoso (più della media di questi ritrovi turistici) il prezzo adeguato agli standard (l’Italia finalmente divenuta la nazione più cara d’Europa). Mentre mangio una pastiera (sic) mormora un po’ il vento che s’alza timido.

Il posto è bellissimo  e stamane sono andato a mangiare un panino e poc’altro seduto in spiaggia, di fronte una tavola azzura, uno scoglio e due gabbiani che tubavano come piccioni stracresciuti. Infami, dicevo, avete questo splendore e me lo fate godere assolo. In altri posti (a Livorno, per esempio) non l’avrebbero consentito, e avrebbero imposto alle persone di frequentare (sì anche a gennaio) obbligatoriamente la spiaggia a tutte l’ore, a mangiare, e correre, e amoreggiare.

spiaggia

Tutti qui corrono, in macchina. Il mio mentore mi scorrazza a 80/90 all’ora per viuzzole e tòrte salite o azzarda improbabili sorpassi (a volte anche a sinistra) per regolare elbani appena meno folli di lui. Venerdì scorso quasi non morivo mentre passeggiavo la sera e sbucava una automobile da un gomito di curva derapando come dannata, invadendo la corsia. Io saltai al muro come l’uomoragno (o l’uomomosca) ma almeno salvai la pellaccia.

Tutti qui corrono come dannati perciò cammino circospetto ‘stasera, verso il mio albergo sul mare, alla Ghiaia. Intanto il vento cresce. La strada è interrotta e c’è solo un budello per i pedoni: questi di Portoferraio lo sapranno? Pur consci, i soli due autoveicoli arrivano al blocco alla solita, folle velocità, nella stradina, pronti a frenare e riprendere in senso inverso la corsa.

“Siete su un’isola che uno sputo supera” – vorrei gridare – “che una natura benigna e generazioni di operosi ha reso una favola, e al posto di bighellonare letargici guardandovi intorno, a piedi o, massimo in bici, scorrazzate frastuonanti in (vecchi) SUV e pericolose coupè ammazzandovi (ammazzandoMi)!”

Il vento, da Nord-ovest cresce: otto/dieci nodi di raffichette mi ostacolano per la salita: il cielo si apre: la strada è sempre troppo illuminata cerco più avanti dei tratti più bui.

Ora il vento arriva a quindici nodi: in cielo Orione spadroneggia alla mia sinistra, a destra ho il mare e il Gran Carro: proseguo a camminare superato il mio albergo. Spero che diminuiscano le luci. Mezzo kilometro più avanti il cielo è un po’ scurito, il vento muggisce piegando le canne: il mare, cento metri più in giù, si ingrossa.

Sono più che solo: allargo le braccia al vento, alzo il viso al cielo – lo spettacolo è troppo. Piango. Di gioia.

Ancora un po’ di strada: trovo un accesso al mare, le Padulelle si chiama, e scendo giù. Ho ancora una cosa da fare. Voglio testare il cielo dalla spiaggia. La stradina è buia e promette bene. Il mare è un infinito nero: percepisco l’onde ma non vedo niente. Il cielo, invece, non riesce ad essere che del solito color latte. Come l’abbiamo ridotto!

Due fari bianchi di una retromarcia: un motore si accende a venti metri. Una coppietta, penso, che ho spaventato (in che tempi viviamo).

Mi allontano ma mi superano: mi volto a far vedere il viso e una espressione, che spero colgano, come per scusarmi. Davvero non volevo disturbarvi: volevo vedere il cielo, e sentire il mare.

Il vento ora mi spinge con forse trenta nodi. Torno verso il mio albergo guidato in cielo da un Leone rampante.

lion

La spiaggia sotto l’hotel è illuminata, le onde non sono alte ma potenti: temo per il traghetto domani.

Eppure sono contento: in spiaggia al buio prima il mio test è riuscito: allineando in cielo da Cassiopeia ho trovato e visto Andromeda (la galassia), lattea tra il chiarore del cielo inquinato di luce ma distinta. Quella luce ha lasciato Andromeda due milioni di anni fa, quando sulla terra c’era ancora l’uomo erectus e questa notte ha colpito la mia retina e stimolato il mio cervello.

andromeda

Abbiamo costruito una società che ci nega il cielo e il mare e il vento: io cammino solo in questa notte gustandomi il più bello spettacolo del mondo e sono un outcast, un paria, incuto (giustamente e purtroppo) paura.

Ho capito perchè tutti corrono quando vanno in macchina, qui all’Elba ma non lo voglio dire: è troppo triste. Come tutti, come noi al mattino per andare al lavoro, o la sera uscendo per locali. Corriamo, giriamo, giriamo.

Come i criceti in gabbia sulla loro ruota.