teatro Respirare, anche se solo per qualche ora, per qualche giorno, l’aria magica del teatro (o la prosaica polvere che il corpo di ballo muove sul palcoscenico) riporta a passata passioni.

Razionalmente riconosco che non resisterei (più) alla vita nomade e miserabile delle trasferte e delle tournèe con le compagnie di giro, i baracconi di nani e ballerine, solisti sfiatati e invecchiati, vestali appassite, inguaribili appassionati, criptonarcisi, volpi senza furbizia  e vixen senza sensualità.

Eppure mi mancano i finali travolgenti e gli acuti, il fa cercato (e raramente trovato) strizzando il diaframma o il sol bemolle basso (chiusura di Aida, ancora per fare un esempio) che dilata e fa vibrare il petto, le uscite in scena e gli scherzi prima che apra il sipario, concentrati perché non si perdano le parole e non si sia costretti a mugugnare solo inventate vocali (il pubblico lo saprà ?) oppure non si prendano (capita: mi è capitato) attacchi dassolo e fuori tempo (ma non tanto, appena una battuta prima).

Mi manca ancora di più il dopo spettacolo quando, l’adrenalina ancora alta, a notte fonda si cena e si scherza – le voci sfatte o ancora impostate e il trucco che si sfalda – e si conosce persone nuove. A volte, se si è fortunati, un poco ci si innamora.